domenica 10 febbraio 2008

Il mobile anche a Livorno

USATA

Livorno è una città dove c’è tutto.

Non è proprio vero ma lo si fa diventare tale perché quel che ‘un c’è s’inventa, mi pare semplice.
Guardate questa foto, che amarezza vero? Questa immagine è la testimonianza di una chiara sofferenza del cittadino livornese. Socchiudete gli occhi per un istante e potrete senza dubbio immaginarlo in uno di quei pomeriggi liberi che ha (sempre troppo pochi) che, una volta ogni tanto, decide di non trascorre all’ipercoppe bensì passeggiando per quelle splendide vie della città mai troppo zeppe di negozi e negozi e negozi e basta.
Ebbene, dopo aver visto tutte le vetrine, il nostro amico sente il languorino di metà pomeriggio e decide di saziarlo con un farcito 5 e 5 e una birra ma, appena finito, si guarda intorno accorto e con circospezione fino a che non vien colto da un insopportabile imbarazzo: aihmé, in un raggio di 1,5 metri, dove poter gettare i rifiuti prodotti??

Come ben saprete osservando le strade della città, i livornesi sono spesso còlti da questo tipo di riflessioni e d’imbarazzo: stati d’animo mai capiti da chi dovrebbe garantire il necessario affinché il dubbio di dove gettare la spazzatura non si insinuasse nelle menti dei cittadini.

Ma come si sa, laddove c’è una mancanza il cittadino labronico, orgoglioso di sé e della sua città, s’ingegna.

Ed ecco che in mancanza di altro s’inventa il paniere mobile anche detto immondezzaio portatile che, badate bene, è un vero gesto d’altruismo. I lati positivi di questa genialata sono innumerevoli: se ne trova uno ogni dieci metri; non hanno mai una posizione fissa puoi muoverli, portarli in giro, parcheggiarli da via Grande al viale Italia, dal parterre a Piazza Attias; spesso sono uno accanto all’altro, insomma non mancano mai.

3 i requisiti essenziali per poterli utilizzare:

1. essere abbastanza pigri da non riuscire a percorrere nemmeno 10 metri per arrivare a un cestino;
2. sapersi disinteressare di colui che, volontariamente o meno, deve svuotarsi il cestino;
3. essere muniti di una preziosa mancanza di rispetto per tutto ciò che ci circonda.

Un ultimo consiglio, sarebbe da evitare il furto di questo cestino solitamente legato ai pali, mica per altro, solo per non fomentare ulteriormente stupidi e infondati detti popolari che legano i livornesi alle biciclette.

Ancora non si è capito chi sono questi incredibili volontari ma vogliamo ringraziarli tutti poiché l’uso dei loro panieri mobile permette di diminuire, di poco, il sudicio sulle strade di questa città seppur a discapito di tonnellate di moccoli tonanti emessi ogni mattina dagli anonimi spazzini involontari.

Però, si sa, il sacrificio di pochi compensa la mancanza di molti...no ehm forse era con la volontà tutto si può fare, no, non era nemmeno così allora forse era “Eh, si sa, a Livorno è così” no, direi di no, ah ecco vedrai che era su’ ma’ budello a chi non usa i cestini dell’immondizia in città, ecco sì, mi pare fosse proprio così.

domenica 21 ottobre 2007

Le belle bombe di una volta


Per anni ho dovuto rispondere a domande che andavano dalla più gentile “Come mai Livorno è così diversa dalle altre città storiche toscane?” alla più diretta ed impietosa “Come mai il vostro centro cittadino è così brutto?”. E come tutti gli altri miei concittadini mi ritrovo sempre a rispondere con la litania di rito: “Eh sai, i bombardamenti”.

Dal 1943 Livorno in virtù del suo importante porto, di una delle principali raffinerie d’Italia, dell’Accademia Navale, del cantiere, ecc. ebbe la sorte di venir sottoposta ad una serie di devastanti bombardamenti ; e si sa che gli Americani di munizioni non hanno mai lesinato, ne ieri ne oggi.


Come le città antiche avevano “il mito della fondazione” per volontà divina e per superiore destino, la Livorno del dopoguerra ha maturato una sorta di “ mito dello sfondamento” ad opera dell’impietoso Dio della guerra.
E così, gli edifici del cosiddetto Pentagono del Buontalenti, ovvero il nucleo originario della Livorno medicea è scomparso irrimediabilmete sotto il maglio della seconda guerra mondiale.


Una città ideale disegnata nel 1576 dalla mano di uno dei più grandi architetti del rinascimento per volontà del Granduca Francesco I dei Medici, colui che ordinò di far nascere su di un villaggio fortificato di nemmeno 800 anime una città per 12000 abitanti. Doveva essere il grande porto del potente Granducato. “…che sia lo occhio dello nostro capo”, ebbe a dire al suo architetto.

Miti di ineluttabilità: la volontà della dinastia dell’età dell’oro della Toscana la fa nascere da un piccolo borgo, e i giochi di guerra delle grandi potenze mondiali l'hanno cancellata.


E noi livornesi?

Inermi, nel ricevere e nel vederci privare; sempre a sentirci, sotto il nostro straripante ed irriguardoso orgoglio, la cenerentola della Toscana perché nessuno ci ha donato una cupola del Brunelleschi, un David di Michelangelo o, duro a dirlo, una torre pendente!
E poi quel che avevamo, sbriciolato, ridotto in polvere. E che potevamo fare noi se non ricostruire alla meno peggio il 90% del centro cittadino?
Miti, che nascono per inorgoglire, per dare appartenenza e per consolare, ma sempre e comunque miti.


Mito: (così recita il mio corpulento Dizionario) Fatto esemplarmente idealizzato in corrispondenza di una carica di eccezionale e diffusa partecipazione fantastica.


Come setacciare l’idealizzato ed il fantastico dalla realtà se non con la loro nemesi naturale … l’implacabile matematica.
Recita il bollettino postbellico: del centro cittadino è stato distrutto o danneggiato gravemente il 61,32% , il 28,32% leggermente danneggiato e illeso il restante 10,36%.
Che fine ha fatto quel quasi 30% di “leggermente danneggiato”?
Eh si, lo ammetto, è una domanda retorica con una risposta altrettanto banale.
Bisognava ricostruire in fretta per dare abitazioni a migliaia di sfollati, ricostruire un tessuto urbano “coerente”, a restaurare ci sarebbe voluto troppo tempo e poi molti edifici non erano in linea con le nuove esigenze abitative. Più facile, più veloce ed economico abbattere e ricostruire da capo.
Beh, ha una sua logica, non c’è che dire, perché son professionisti e non sono motivazioni campate in aria , salvo poi essere smentiti dai fatti, dato che la ricostruzione è terminata in comodi 10 anni ( anche se a voler essere pignolo mi ricordo di almeno un paio di edifici nel quartiere Venezia ancora sventrati all’inizio degli anni ‘80) e con costi molto superiori al preventivato.
E tutte quelle giustificazioni che gli architetti, ed i politici loro sponsor, sono sempre pronti a dispensare a piene mani: del perché è giusto ed opportuno inserire un elemento di modernità e di design in un tessuto urbano storico, per proiettare la città nel futuro… con quell’effetto che nella grandissima parte dei casi è un po’ come l’orologio al polso delle comparse in costume da antichi romani. Ma è per loro inconcepibile ed inaccettabile che un mediocre edificio del seicento interrompa la sublime modularità delle loro creazioni in cemento armato! Giammai!

Ma allora , stai un po’ a vedere, che non è stato poi tutto così ineluttabile Che sono state fatte delle scelte e non proprio così inerziali di fronte ad eventi incontrovertibili. Ancora oggi ci vengono presentate soluzioni e progetti per la nostra città che hanno come fondamento l’inesorabile adeguamento ai nuovi miti di oggi: “le leggi di mercato”. Salvo poi scoprire tra qualche anno che non erano poi così vincolanti.


Dunque per ritornare al ricettario del blog, un tremendo bombardamento è un ottimo ingrediente per iniziare a degradare e mortificare una città , ma non basta. Serve perizia per farlo rendere al meglio, e modestamente a Livorno ci siamo riusciti egregiamente.

venerdì 5 ottobre 2007

UNO

Buona sera a tutti.
Su questo blog potrete imparare come degradare una città mortificandola il più rapidamente possibile.
Si accettano consigli purché realizzabili. Iniziate a pensarci.